Villa Visconti

Le ville e i palazzi lombardi dell'età barocca sono generalmente dotati di oratori: la loro presenza, che si riscontra anche in ville ubicate a non grande distanza dal centro abitato, e quindi dalla chiesa parrocchiale – come è il caso appunto delle ville di Cassinetta – si spiega non tanto con reali esigenze di culto, peraltro costantemente invocate dai proprietari nel momento in cui chiedevano all'autorità ecclesiastica di la necessaria autorizzazione per la costruzione e, successivamente, la benedizione dell'edificio, quanto piuttosto con ragioni di prestigio sociale, poiché la famiglia nobile desiderava disporre di uno spazio riservato da cui assistere alle funzioni religiose; e se le disposizioni ecclesiastiche prescrivevano come condizione inderogabile che un ingresso dell'oratorio si aprisse sulla pubblica strada, i proprietari godevano di un accesso privato quasi sempre in diretta comunicazione con la residenza, e di appositi locali, tribune o ''corretti'', separati dalla chiesa pubblica mediante grate, da cui seguivano i riti.

La tipologia architettonica degli oratori gentilizi è semplificata – si tratta per lo più di chiesette ad aula con un unico altare -, ma non mancano casi di soluzioni stilisticamente interessanti dal punto di vista architettonico e pittorico.

Per l'oratorio di Villa visconti Maineri possediamo alcuni dati cronologici sicuri, grazie alle ricerche di Iris Invernizzi; esso trae origine da un piccolo altare, già indicato nella mappa catastale del 1723; l'edificazione nelle forme attuali cade nel quarto decennio del Settecento, all'epoca dei lavori di ampliamento della Villa, eseguiti su probabile progetto di Carlo Federico Castiglioni; la consacrazione, in base a una epigrafe non più esistente, il cui testo è trascritto negli atti della Visita pastorale di Giuseppe Pozzobonelli del 1760, risale al 1741; i committenti furono i fratelli Paolo Martino e Giovanni De Bozzoli, all'epoca proprietari della villa. Possiamo con buona verosimiglianza ritenere che alla data della consacrazione l'edificio fosse completo sia nelle strutture architettoniche, sia nel rivestimento pittorico dell'interno, in cui si sviluppa un ciclo iconografico sulla passione di Cristo. Il linguaggio architettonico si allontana da quello del Castiglioni e si avvicina a quello più barocchetto del Ruggieri e del Veneroni.

Un dato che colpisce è lo scarto di aggiornamento culturale tra l'architettura, gli inserti scultorei – il rilievo in facciata con la Pietà, i putti ai lati dell'altare -, le quadrature e gli stucchi che rivestono l'interno, tutti di forme pienamente barocchette, e lo stile assai più tradizionale dei dipinti di figura, sostanzialmente esemplati ancora su modelli seicenteschi. Pur se la sistemazione dell'interno è da ritenere coeva al rinnovamento architettonico, gli artisti che vi si trovano a operare, sotto il coordinamento dell'architetto, si caratterizzano per linguaggi assai differenziati dal punto di vista della modernità o del conservatorismo: ma non è inconsueto per il periodo che siano proprio gli stuccatori, i quadraturisti, i maestri del legno e del ferro battuto a rivelarsi più aggiornati dei pittori di figura, e più pronti a sperimentare le nuove correnti del barocchetto e del rococò.

Sulla controfacciata della cappella, ai lati del portalino sormontato da un'elegante finestra di forma sagomata, sono affrescate le figure di Santa Chiara e di Sant'Antonio da Padova col Bambino; sulle pareti dell'aula si fronteggiano scene della passione di Cristo in gloria; sulla volta del piccolo presbiterio è affrescata una Gloria di Angeli con strumenti della Passione; la pala d'altare, su tela, raffigura la Deposizione dalla Croce, e la circonda una decorazione quadraturistica ad affresco che simula un altare marmoreo e include due figure a monocromo di profeti.

Le due Storie della Passione nell'aula sono assai più dure e impacciate nel disegno (e particolarmente la salita al Calvario) del rimanente della decorazione, ma è ragionevole supporre che ciò sia dovuto a riprese di restauro, anziché a differenti mani: la concorrenza iconografica e la ridotta estensione del piccolo ciclo porterebbero infatti a escludere la compresenza di diversi pittori di figura. La cultura del nostro pittore si dimostra legata a prototipi lombardi seicenteschi e tardoseicenteschi, con scarsi aggiornamenti: se il Cristo in gloria sulla volta ricorda il modello di Daniele Crespi nella Certosa di Garegnano, i Santi Antonio da Padova e Chiara mostrano caratteri nuvoloniani, e le Storie della passione come anche la pala riflettono negli schemi compositivi accademizzanti l'insegnamento di maestri tardobarocchi milanesi come lo Scaramuccia e Antonio Busca, rivelando solo nello schiarirsi delle gamme cromatiche negli sfondi l'interesse verso artisti più moderni, come il Lanzani o il Legnanino. Assai più moderno è invece il quadraturista, che rivela nell'impiego di gamme cromatiche sfumate e leggere nei finti marmi, trascoloranti dal rosato al verdino al grigio pallido, e nel gusto per ornati architettonici asimmetrici, ravvivati da tralci floreali – si vedano le incorniciature della finestra a trompe d'oeil sulla parete di sinistra del presbiterio, oppure delle due tribune nell'aula – una piena adesione ai modi barocchetti; e i confronti più puntuali sono con i quadraturisti della scuola monzese, dal Castellino (morto però nel 1724) ai suoi scolari come il figlio Giuseppe, Giacomo Lechi, i Longone, Eugenio Ricci, Carlo Perucchetti, fra i quali andrà forse ricercato lo sconosciuto maestro dell'oratorio Visconti Maineri.

La piccola chiesa gentilizia sia per l'esistenza di un sicuro termine ante quem per la costruzione e le decorazioni pittoriche, sia per la coerenza stilistica che raccorda in un discorso omogeneo il progetto architettonico, i dipinti su tela e ad affresco, gli stucchi, le sculture, le eleganti balaustre in pietra e ferro battuto, sia per la sua ubicazione in un contesto ambientale e urbanistico di straordinaria integrità, tra i più suggestivi dell'area dei Navigli, rappresenta un episodio di sicuro rilievo nel panorama artistico del Settecento lombardo.